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Il neurotrasmettitore GABA - Diabetescore
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  19.04.2024 Ferienhaus Ostsee
   

Alcuni studi mirano alla cura del diabete attraverso un neurotrasmettitore (l’acido gamma-amino-butirrico - GABA).  Uno studio condotto su topi e pubblicato su Pnas mostra come la somministrazione di acido gamma-amino-butirrico in esemplari con diabete di tipo 1 sia in grado di rigenerare le cellule beta andate distrutte e di impedire che il sistema immunitario le aggredisca.

Ma occorrono altri studi per verificare se la tecnica funziona sull’uomo.

Finora era stato semplicemente considerato il neurotrasmettitore inibitore più abbondante a livello cerebrale, ma l’acido gamma-amino-butirrico (Gaba) potrebbe rappresentare secondo i ricercatori del St. Michael's Hospital di Toronto la cura definitiva per il diabete di tipo 1, essendo costoro riusciti - in uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences - a rigenerare le cellule beta andate distrutte a causa della malattia evitando contestualmente che il sistema immunitario le continuasse ad aggredire.

 

Il GABA, infatti, eserciterebbe un effetto protettivo e al contempo rigenerante delle cellule beta delle isole, invertendo quindi gli effetti del diabete ed agendo, quindi, contemporaneamente sui due sistemi.

 

Diversamente dalle cellule alfa sulle quali l’acido GABA esercita effetti iperpolarizzanti, relativamente alle cellule beta, detto acido produce depolarizzazione della membrana e degli afflussi Ca2, portando all'attivazione della crescita PI3-K/Akt-dependent e ai meccanismi di sopravvivenza.  Questo meccanismo fa sì che risultino conservate le masse β-cellulari impedendo lo sviluppo di diabete di tipo I.  Inoltre, l’acido GABA si oppone alle chitochine infiammatorie, ossia a quelle molecole rilasciate da alcuni elementi del sistema immunitario (come i macrofagi) la cui funzione è quella di attirare nel luogo dell'infezione (cioè nelle isole pancreatiche) il maggior numero di cellule del sistema immunitario, in particolare di linfociti B e T che sono i diretti responsabili della protezione del nostro organismo.

Ma l’acido agisce anche nella regolazione della funzione delle cellule delle isole pancreatiche tendendo  a mantenere un equilibrio nel tempo del glucosio, anche al variare delle condizioni esterne, attraverso dei precisi meccanismi autoregolatori (c.d omeostasi del glucosio).
Tutto ciò, quindi, soltanto tramite la somministrazione del neurotrasmettitore, appunto l’acido GABA, “ il primo agente in grado sia di proteggere dal danno le cellule che producono insulina sia di ridurre la reazione del sistema immunitario contro queste cellule”, come ha commentato Gary F. Lewis, direttore della divisione di Endocrinologia e Metabolismo alla University of Toronto, dove quasi un secolo fa fu scoperta l’insulina. “La reazione del sistema immunitario contro le cellule beta è responsabile della gran parte dei danni che danno origine al diabete di tipo I. Questa scoperta può aprire nuove vie per la prevenzione e il trattamento del diabete di tipo I nell’uomo”, ha concluso.
La connessione tra GABA e salute delle cellule beta, al momento, è poco chiara. Fino a qualche decennio fa dell’acido gamma-amino-butirrico era nota la funzione di neurotrasmettitore nel sistema nervoso centrale. Fino a che sul finire degli anni Settanta non se ne scoprì l’alta concentrazione nelle isole pancreatiche e successivamente il fatto che anche le cellule beta fossero in grado di produrlo.
Quello pubblicato nei giorni scorsi on line su Pnas è il primo studio a descrivere nel dettaglio la capacità del neurotrasmettitore di regolare la funzionalità e perfino la sopravvivenza delle cellule beta.
Non stupisce che l’entusiasmo tra gli addetti ai lavori sia palpabile. “La ricerca sul diabete con questo passo è molto più vicina a una cura”, ha affermato Michael Cloutier, presidente e Ceo della Canadian Diabetes Association che, insieme al Canadian Institutes of Health Research e alla Juvenile Diabetes Research Foundation, ha finanziato lo studio. "Siamo emozionati per essere parte di questa importante scoperta e attendiamo i risultati degli studi clinici”.
Per questi ultimi, tuttavia, potrebbe essere necessario attendere ancora molto tempo in quanto lo  studio è stato condotto su topi di laboratorio, risultando difficile, pertanto, l’efficacia della tecnica  sull’uomo, anche se i risultati sembrano promettenti.
 
 
Studio pubblicato nel giugno 2011

Fonti:

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=4613

http://www.pnas.org/content/early/2011/06/22/1102715108.abstract

http://www.molecularllab/.it/news/view.asp?n=718