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Bambole diabetiche espressione di un male sociale - Diabetescore
Su questo sito abbiamo pubblicato l'articolo "Bambole con il kit per il diabete in vendita" e mi sono venute spontanee delle riflessioni che vi riporto.
Quando mi venne diagnosticato il diabete nel lontano 1981 il dr. Iavicoli che faceva parte del team del prof. Domenico Andreani del Policlinico Umberto I, esperto in endocrinologia e allora direttore della Scuola di Specializzazione in Endocrinologia dell’Università “La Sapienza”, ricordo che per confortarmi, mi disse le testuali parole:
non preoccuparti perché nel giro di dieci anni il diabete  sarà sconfitto”.
Da allora ho aspettato cinquanta anni quindi cinque volte dieci ma sento ancora i medici pronunziare lo stesso slogan.
Per chi ormai patisce questa malattia da diversi anni la cosa più grave è che non si prospetta all’orizzonte alcuna concreta soluzione definitiva; lo stesso pancreas artificiale è un rimedio che molto si avvicina ad una soluzione ma che non rappresenta la liberazione definitiva da questo male  perché si è pur sempre legati indissolubilmente all’insulina e al glugacone artificiale, senza i quali ne segue un inesorabile destino.
E’ con un velo di amarezza,  quindi, che si assiste allo stillicidio continuo di notizie che fanno illudere perché promettono ricerche e studi dai risultati sorprendenti ma che ,dopo l’annunzio, evaporano nel nulla !?!?
 
Eppure sembra quasi impossibile che il grado di conoscenza e le tecnologie mediche raggiunte  non   riescano a debellare il diabete.
La mia convinzione, ma è sempre più una convinzione crescente nei diabetici,   è che la cura esista veramente ma che adesso non sia conveniente economicamente diffonderla perché un eventuale vaccino costituirebbe il venir meno di una fonte di reddito sicura e cospicua per tutte le case farmaceutiche e gli operatori del settore e di converso una perdita di lavoro per molte persone.
Per cui sotto il profilo economico e sociale, opposto allo stesso profilo sociale della guarigione.
Ritengo doverosa la cura del diabete e comunque l’impegno da parte della medicina in generale, proprio per le conseguenze che con il tempo possono pagare i diabetici.
Auspicabile che gli Stati del mondo creassero un pool di tecnici scevri da interessi privati ed economici con il solo obiettivo di risolvere il diabete analizzando tutti gli studi fatti fino ad ora e  seguendo quelli che sembrano promettenti.  
I benefici di una guarigione sarebbero indiscutibili: si avrebbe una collettività sotto il profilo psicologico molto più tranquilla;  si avrebbe un abbattimento dell’enorme costo sociale attuale che ricade sulla collettività per l’acquisto di presidi medici (aghi, microinfusori, holter glicemici, strisce reattive, etc.) ma anche per la cura di patologie conseguenti, per cui a maggior ragione non si capisce perché il mondo intero si organizzi per debellare questa epidemia sociale perché il diabete tale deve essere considerata.
Ed è qui che ritengo – ma vorrei sbagliami !!! - che interessi economici si frappongano alla cura del diabete, convogliando i finanziamenti verso altre strade che possano prospettare una fonte futura di guadagno anziché la mera cura che con un vaccino annullerebbe qualsiasi lucro; è bene sapere che molte ricerche che sembrano promettenti – si usa il condizionale sull’attendibilità perché poi di fatto non risulta nulla - terminano per mancanza di fondi;  è lo stato sociale in cui viviamo, predominato da interessi personali ed economici, che induce a pensare quanto detto.   
Per il momento, quindi, dobbiamo accontentarci dei rimedi tecnologici provvisori, che se da una parte  rappresentano un miglioramento della vita del diabetico e che quindi non si devono trascurare, di fondo rimane  la diversità dei diabetici dagli individui  “normali”.  
Sotto il profilo psicologico per cercare di far accettare il problema al paziente diabetico, si cerca di convincerlo dicendo che in fondo con questa malattia in fondo ci si deve considerare normali.
Forse può sembrare ma, senza false ipocrisie, la vita del diabetico non è assolutamente “normale”, oltre che per ovvi motivi, anche se calata nella società moderna, ed, in particolare se  rapportata agli abituali standard che i mass media  inculcano fin dalla tenera età a tutti i bambini, attraverso  pubblicità e vendita di prodotti che sotto il profilo alimentare sono anche di bassa qualità (basti pensare ai prodotti con l’olio di palma, etc.).
Una considerazione:  stranezze (ma poi nemmeno così tanto !!) della nostra società  basata sulla massimizzazione dei guadagni e su una globalizzazione ormai fallita (causando guerre, espandendo malattie in tutto il mondo)  dimenticando i principi della microeconomia basata sul lavoro circoscritto in un ambito territoriale ristretto che però costituiva la ricchezza di un popolo perché comportava un proliferare di attività artigianali e professionali utili per il territorio, creando quindi ricchezza attraverso lo scambio di lavoro e di beni, il tutto anche a discapito della salute.
Diversità che emerge dal fatto che il diabetico vive in un mondo apparente in quanto questa malattia è subdola e lavora di nascosto facendo emergere problematiche gravi e all’improvviso e nel contempo.
Per i più consapevoli, determina un’ansia costante e latente che rovina l’esistenza serena del diabetico ma anche delle persone vicine che lo assistono ed in particolare i genitori chiamati ad accudire i propri bambini colpiti in giovane età.
Mi spaventa pensare il sol pensiero a cosa possa accadere in caso di guerra:  chi è che produrrà l’insulina ? la si potrà trovare nelle farmacie ? come si farà ad acquistarla ?  .. .. non credo proprio che un diabetico possa condurre ed avere una vita normale.   
Il diabete  lo si accetta per sopravvivenza non per scelta: infatti senza insulina si muore; con l’insulina si sopravvive .. non si vive, perché la vita non ha dipendenze al contrario della sopravvivenza.
Mi chiedo quale prezzo dovremo pagare sotto il profilo medico e psicologico per il ritardo che si sta accumulando nella ricerca di una soluzione per curare definitivamente il diabete, anche perché, nel frattempo, il tutto  ricade sulla collettività: il numero che si prevede dei diabetici è destinato a salire in modo impressionante per via della predisposizione che aumenta a causa di unioni con genitori diabetici che giustamente vogliono la loro vita normale (e che non sono da condannare) ma anche per colpa di vaccini e della pessima alimentazione che ci propinano a costi sempre più bassi quindi qualitativamente sempre più scadenti.
Mi rimbomba nella mente il detto “l’uomo che distrugge se stesso”;  non bisogna dimenticare che il diabete è una vera epidemia contenuta ma che si espande a dismisura.
Non ci rimane pertanto … che far giocare i nostri bambini diabetici con le bambole problematiche, abituandoli  a farli convivere con i problemi già dalla tenera età.
D’altra parta una volta le bambole erano normali perché i bambini erano normali; ora che probabilmente il numero dei bambini malati cresce in maniera esponenziale anche le bambole si adeguano alle esigenze e richieste dei tempi, diventando quindi “normale” ma anche business produrre bambole diabetiche, chemioterapiche e quant’altro, il tutto per essere più vicini ai nostri bambini.
Quindi la bambola quale espressione dei tempi attuali.
Mentre una volta la bambola rappresentava per l’infante un momento di svago, di gioco puro e semplice, un momento in cui far esplodere ed esprimere la propria creatività, condividere le proprie avventure,  ora la bambola “malata” esprime anche la fragilità dei bambini rappresentando l’immagine del proprio disagio e malessere, una compagna con cui condividere  le proprie avventure e disavventure, ma soprattutto la propria solitudine.
Un oggetto (o se vogliamo un soggetto) transizionale cui sfogare tutte le proprie ansie, riversare tutti i propri nervosismi e nel contempo consolare, accarezzare, stringere al proprio corpo per ritrovare o forse meglio cercare di ritrovare quella serenità perduta.
Un oggetto o un soggetto che rappresenta lo stato d’animo dei bambini dei nostri tempi sempre più racchiusi, come detto, nella loro solitudine.
Nemmeno le persone più vicine (come i genitori) possono capire fino a fondo cosa significhi convivere con il diabete avendosi sempre la mente impegnata dal controllo della propria glicemia, prima e dopo dei pasti e l’andare a dormire, del mangiare, del bere, della necessità che può anche coincidere con il piacere, di fare sport, di fare i controlli medici di routine presso il centro antidiabetico e altri centri specializzati del sangue, della vista, del cuore, degli arti, dello strato adiposo, della tiroide ed altre cose, combattere contro i soprusi delle leggi (cfr. vedi la patente di guida; guida in stato di ebbrezza) e i divieti (ad es.  arruolamento nelle forze dell’ordine, guida di aeroplani,etc.).
Una vita sempre tirata e sempre sull’attenti, chiaramente se si vogliono  prevenire le complicanze.
Di brutto è che si combatte contro un nemico invisibile un “fantasma” che fa sentire inevitabilmente diversi.
Premesso che rientro in quel 10% di “fortunati”  in quanto le complicanze non arrivate nei primi vent’anni di diabete statisticamente non dovrebbero più seguire, ancora oggi mi chiedo chi sia in grado di avere effettivamente quella forza per combattere contro una malattia invisibile: con grande rammarico non vedo una sana formazione dei diabetici alla gestione della malattia da parte degli addetti ai lavori,  colpa quindi di una assenza di cultura e del sistema sanitario italiano al completo  sfascio, impegnato a come risparmiare sulle persone disagiate.
Ho sentito genitori di bambini diabetici che dicevano che il proprio medico avrebbe consigliato, a scuola, con la glicemia a 170 mg, di dare per merenda crackers e/o succhi di frutta:  niente di più errato, in quanto, statisticamente parlando,  iperglicemie costanti portate, anche per una sola settimana,  produrranno quasi certamente nel tempo delle complicanze, anche se questi consigli sicuramente  di positivo hanno, ovvero per il medico, in particolare evitandogli la scocciatura di eventuali telefonate per ipoglicemie che possano colpire l’alunno diabetico a scuola !!!
Concludendo è vero che il diabetico può fare tutto ma a il prezzo da scontare non è dato sapere, che potrebbe essere anche amputazioni e la morte.
Pertanto la bambola è espressione dei tempi e stupisce come detto articolo (che sembrerebbe interessare una nicchia di persone, ovvero i diabetici (che forse nicchia non è più soprattutto in America dove è nato e si è sviluppato notevolmente il fenomeno del diabete), sia stato preso d’assalto dai giovani e che sia difficile trovarla negli scaffali.
Probabilmente il numero di bambini diabetici o con problematiche similari potrebbe essere già da adesso  elevatissimo.
La mia speranza è che questo fenomeno non venga inteso solo come una mera moda del momento. Non vorrei, infatti,  che come effetto si possa avere una sottovalutazione della malattia da parte della collettività.
Spaventa l’assuefazione che il bambino potrebbe acquisire sottovalutando quindi le problematiche serie sottese, facendo diventare normale una cosa che in realtà non lo è ma anche distruggere nelle nuove generazioni l’ideale che si possa combattere e trovare un rimedio o anche semplicemente opporsi a meri interessi economici che ostacolano la diffusione della cura del diabete.
Di positivo la bambola potrebbe diventare uno strumento utile per sensibilizzare altre persone, nella speranza, tuttavia, che questa sensibilizzazione non sia solo un mero assistenzialismo quanto un orientamento verso lo star bene, la ricerca di una alimentazione sana (in questi giorni finalmente  il marchio Coop sta pubblicizzando che nei suoi prodotti non verrà più usato olio di palma) verso la cura del proprio corpo e della propria mente,  riprendendo il vecchio detto latino mens sana in corpore sano.
Al riguardo determinante l’apporto dei genitori ma i quali devono anch’essi essere sensibilizzati; in questa circostanza ruolo determinante deve essere svolto dai  centri antidiabetici ruolo organizzando corsi di formazione ….
.. sensibilizzazione quindi come forma di prevenzione   
Per quanto comprensione mi possa venire nel veder giocare i bambini diabetici con questo gioco particolare, non nascondo che mi viene un po’ di tristezza … ma se questo può essere di aiuto per costoro ben venga ….  sarà poi compito di noi genitori educarli … e responsabilizzarli alla vita anche se rimane che dentro il loro cuore questi bimbi sono più grandi della loro età subendo un  male temibile ... ma la sopravvivenza fa miracoli.