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Diabete e il lavoro - Diabetescore
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Indice
Il diabete e il lavoro
La tutela del lavoratore diabetico
Tipologia di lavori ammessi, sconsigliati e vietati
Problemi nel mondo del lavoro
Doveri del lavoratore diabetico
Idoneità lavorativa
Valutazione effettuata dalla Seconda Università degli studi di Napoli e dall’INPS di Lecce 

 

Il diabete interessa non solo come concezione biologica di malattia, ma soprattutto sotto l’aspetto economico-sociale, perchè agita problemi sulla prognosi lavorativa ed eventuali interferenze patogene che possono determinarsi tra ambiente e lavoro.
Diverse ricerche hanno dimostrato che agenti occupazionali sono direttamente coinvolti nella patogenesi del diabete mellito. Alcune caratteristiche lavorative rivestono un ruolo importante nell’insorgenza e/o complicanze del diabete mellito: per tali motivi il diabete si può considerare una patologia lavoro-correlata.
I diabetici sono nelle condizioni fisiche e psichiche di praticare qualsiasi lavoro.
Il lavoro in particolare nel diabete di tipo 2 può essere causa del diabete in seguito a fattori di rischio psicosociali (stress), per sforzi fisici eccessivi, per lavori notturni (per come verrà detto in seguito) per sedentarietà ma anche per essere a contatto con agenti fisici (sbalzi di temperatura, squilibri di pressione atmosferica, rumore intenso) e chimici come metalli  (piombo, mercurio, bismuto, arsenico, idrogeno arsenicale, manganese, selenio, tallio, cobalto, dicromato di sodio – cfr. Yangho Kim et al. In “Scienze of the total environment – 2011; Chun Fa Huiang et al. in “Kaohsiung journalof medical Sciences), solventi (solfuro di carbonio, acetone, tricloroetilene), derivati del benzolo, ossido di carbonio, glicoli, cianuri, pesticidi (vacor, amitraz) o i piretroidi (una classe di insetticidi e acaricidi di sintesi – Jimsons Wang et al. In “chemosphere – 2011), idrocarburi aromatici alogenati (TCDD)
Secondo un'indagine statistica, il 35% dei giovani diabetici ha avuto difficoltà al momento dell'assunzione in un posto di lavoro, mentre il 34% dei datori di lavoro non ha neppure preso in considerazione l'assunzione di chi è affetto da diabete.
Si tratta di difficoltà e discriminazioni ingiustificate.
In teoria non esiste ostruzionismo da parte dei datori di lavoro ad assumere un lavoratore diabetico, tuttavia di fondo sussistono dei timori che il soggetto diabetico si ammali più facilmente con la conseguenza che in molti casi viene preferito il non diabetico proprio nella convinzione che costui non possa accampare giustificazioni di salute per chiedere un giorno di riposo o l’interruzione del lavoro per praticarsi l’iniezione di insulina o fare lo spuntino delle dieci e così via.

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La tutela del lavoratore diabetico in Italia
In Italia la tutela del lavoratore diabetico passa attraverso la legge 115 del 16 marzo 1987, emanata per interessamento delle varie associazioni diabetologiche allo scopo di tutelare il diabetico nel luogo di lavoro e prevenire qualsiasi discriminazione. L’art. 1, lett. D) della citata legge indica la necessità di “agevolare l'inserimento del diabetico nella scuola, nelle attività sportive e nel lavoro” mentre l’art. 8 comma 1 stabilisce che la malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non costituisce motivo ostativo … per l’accesso al lavoro pubblico e privato, salvo i casi per i quali sono richiesti specifici e particolari requisiti attitudinali (quindi sono le complicanze e non la malattia diabetica ad indurre ad una condizione invalidante lavorativa), escludendo qualsiasi forma di discriminazione nei riguardi dei malati di diabete, riconoscendo loro il diritto di accedere, ove le loro condizioni fisiche lo permettano, a posti di lavoro sia pubblici che privati, ottenere l’iscrizione alle scuole di ogni ordine e grado e l’accesso alle discipline sportive.

Tale legge è stata integrata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, che concede al diabetico, quando sia riconosciuta una situazione di gravità, tre permessi mensili retribuiti per effettuare i regolari controlli.   
Premesso che nelle liste delle malattie per le quali sussiste l’obbligo di denunzia (Decreto dell’11 dicembre 2009) e nella tabelle delle malattie professionali (D.M. 9 settembre 2008) non vi è alcun riferimento al diabete, è ormai condiviso da tutti gli addetti ai lavori (diabetologi, medici dei lavoro, assistenti sociali, associazioni dei diabetici, etc) che il diabete mellito, ben compensato, non debba rappresentare un ostacolo per l’inserimento nel mondo del lavoro non implicando una riduzione della capacità lavorativa; solamente le manifestazioni acute di scompenso e le complicanze croniche tardive possono compromettere le prestazioni psico-fisiche del lavoratore. Sono, pertanto, i pregiudizi, la scarsa conoscenza dei progressi compiuti dalla ricerca e dalla terapia che possono rendere ragione degli atteggiamenti preclusivi di alcuni datori di lavoro: i diabetici, se ben controllati e in buone condizioni generali, possono svolgere quasi tutti i mestieri e le professioni (con pochissime eccezioni assolute) e l'esperienza e le statistiche dimostrano che la loro abilità, così come il rendimento lavorativo, sono pari agli altri.
Relativamente allo stato di salute il diabetico, c’è da dire che il lavoratore diabetico controlla la propria salute con una regolarità che sicuramente non è abituale tra le persone non diabetiche mentre anche il tempo riservato alla cura della malattia è assai limitato (2-4 mattine l'anno se non delle semplici ore per le analisi 2-6 volte l'anno per le visite mediche).

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Tipologia di lavori ammessi, sconsigliati e vietati
Premesso che la malattia diabetica non costituisce  un intralcio allo sviluppo di una carriera, sono

A) ammissibili tutti quei mestieri che permettono:

  1. uno svolgimento costante dell’attività professionale e che
  2. non comportano un pericolo per la vita propria e per quella di altre persone affidate al lavoratore diabetico, in conseguenza di una crisi ipoglicemica improvvisa.

A titolo esemplificativo sarebbero auspicabili

  • le professioni sanitarie (un medico diabetico può capire meglio la patologia rispetto a medici che conoscano la materia solo in astratto),
  • le professioni  tecniche (ingegneri, geometri, etc.),
  • le professioni  economiche giuridiche (forense, commercialista, etc.),
  • attività assistenziali e sanitarie (infermieri, fisioterapisti, etc.),
  • occupazioni inerenti l’amministrazione (impiegati, funzionari, etc.)  e il commercio (commessi, etc.), occupazioni di carattere religioso (parroco, diacono, etc.), attività didattiche (insegnanti, etc.), occupazioni artigianali (meccanici, giardinieri, fabbri, sarti, etc.).

B) sconsigliate quelle attività che comportano un pericolo per la propria ed altrui incolumità (trapezista, spazzacamino, guida alpina, etc.) oppure un alto stress in  quanto questo fattore potrebbe facilmente determinare squilibri glicemici fino alle chetoacidosi.  In particolare per quei diabetici di tipo 1 che vanno facilmente incontro a chetosi o a crisi ipoglicemiche -  a causa dello squilibrio tra disponibilità o meno dell’insulina di fronte alle richieste periferiche – sono preferibili attività professionale di tipo sedentario, sempre restando possibile l’attività fisica, in particolare dopo il pasto principale quando più necessaria e l’utilizzazione dei carboidrati ingeriti.
Sono sconsigliati lavori che possono comportare lesioni cutanee (muratore, etc.) proprio per la difficoltà di  rimarginarsi soprattutto in caso di lesioni frequenti, profonde ed in particolare se provocate da materiale presumibilmente infetto; nessun problema nel caso in cui si tratta di abrasioni superficiali da materiale “pulito”.
Sono altresì sconsigliate quelle che favoriscono alterazioni circolatorie degli arti inferiori anche se un  lavoro condotto in posizione eretta (quindi viene interessato soprattutto il sistema venoso) ha poca importanza per il diabete.
Ancora sono sconsigliati i mestieri del pasticciere, dell’oste, del panettiere  o del cuoco purchè  non si lascino tentare dalla gola, in particolare con gli assaggi. C’è da dire che se il cuoco si limita ad assaggiare le pietanze, come poi generalmente fanno i cuochi, questa attività la si può svolgere in perfetta tranquillità e con reale vantaggio; c’è da considerare altresì che l’abitudine alla presenza dei dolci potrebbe portare all’indifferenza verso gli stessi;
Sconsigliati, infine, tutti quei mestieri che richiedono un’attività in continuo movimento, con cambi di ambienti e di cucine, di alzatacce al mattino presto, di discussioni continue. Dipende dal carattere e dall’accettare con piacere o meno questo tipo di attività e di adattare la condizione del diabetico a questo tipo di vita (ad es. evitare pietanze unte e abbondanti, bibite gasate, etc. ) e che comunque comportano un modo di vita irregolare con una notevole difficoltà di poter mantenere un equilibrio glicemico adeguato.   

C) Vietate:

  1. la professione del vigile del fuoco (art. 2 del D.M. 3 maggio 1993, n. 228),
  2. di controllore  e assistente di volo (solo se si fa uso di farmaci non orali come l’insulina - Personal licensing, dell’International Civil Aviation Organization – ICAO);
  3. attività  che richiedono il libretto di navigazione (pilota di aerei, navi , treni e autocarri – Regio Decreto Legge 14 dicembre 1933 n. 1773) mentre per gli autobus ed autocarri pesanti  sono queste attività soggette a controllo medico, quindi sconsigliate ma comunque non vietate.
  4. attività militare:  il diabete mellito è una malattia che porta all’esonero del servizio militare e per il militare di carriera questa malattia costituisce un intralcio e la sospensione del servizio attivo a meno che non sia trasferito all’amministrazione o comunque ad uffici, nel qual caso la sua vita in pratica è quella dell’impiegato.
  5. casi in cui il medico aziendale ritenga che una persona con diabete in certe condizioni (con complicazioni invalidanti) non possa svolgere una mansione senza rischio per la sua salute: in questi casi l'Azienda - se non può mettere a disposizione una mansione diversa – può licenziarlo.   In tali casi il diritto alla salute, inviolabile, si ritorce contro il diabetico.

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Problemi nel mondo del lavoro
Il diabetico si trova ad affrontare nel mondo del lavoro diversi problemi:

1) stress: attualmente le condizioni di lavoro sono nettamente migliorate sia in termini di entità della fatica sia in termini di grado di rischio fisico e/o chimico, ma sono aumentate le occasioni di stress legate ai lavori a turni e/o notturni; lo stress è questo un fattore psicosomatico legato alla personalità del soggetto, al suo adattamento al lavoro o all’ambiente: c’è chi per evitare lo stress di lavoro può tardare l’ingresso in ufficio in modo da evitare il traffico mattutino soprattutto nelle grandi città.  Ad aumentare lo stress contribuiscono altri fattori come la rincorsa al successo, all’apprensione e al lavoro dirigenziale, tutti fattori che possono determinare un certo livello di ansia che può riflettersi sulla glicemia senza considerare come ad un aumento dell’attività lavorativa possa correlarsi una diminuzione dell’attività fisica. Infine anche lavori che richiedono una concentrazione continua e prolungata possono essere fattori di stress lavorativo che influiscono sulla glicemia.

2) Attività e sforzi fisici: questo fattore può causare

  • ipoglicemie nel caso di lavori ove è richiesto uno sforzo fisico notevole (lavaggi a mano delle auto, carico scarico merci, etc.) oppure
  • iperglicemie nel caso di lavori sedentari (impiegati, rappresentanti di commercio, etc.).

3) Alimentazione: per questo fattore sussistono problemi legati alla

  • mensa aziendale dove non sono previsti mai pietanze dedicate per il diabetico (salvo ricorrere alla sola pasta o riso in bianco, per primo  e carne lessata, per il secondo).
  • rispetto degli orari del pasto. Il problema è marcato nel caso dei cuochi, dei baristi e dei camerieri.

4) Trasferta: questo  fattore riguarda i rappresentanti di commercio  o i funzionari pubblici o provati che per ragioni di lavoro siano costretti a spostarsi sul territorio nazionale e straniero per le ragioni già sopra dette.

Inoltre non bisogna dimenticare alcune  condizioni di ridotta attitudine al lavoro che differenziano i soggetti diabetici dalla restante popolazione e riguardano:

1) guida professionale,

2) lavori ad altezza dal suolo: il problema riguarda principalmente le crisi ipoglicemiche che potrebbero far precipitare il lavoratore al suolo;

3) rotazione su turni: risulta pregiudicato l’equilibrio glicemico non venendo mai rispettati gli orari dei pasti.

4) lavoro notturno: uno studio (pubblicato dall'Harvard School of Public Health) ha dimostrato  chi fa il turno di notte ha una possibilità di ammalarsi doppia rispetto agli occupati di giorno: lavorare di notte, quindi,  è un importante fattore di rischio per la salute e può provocare diabete e obesità. L'indagine prende in esame due gruppi di donne, rivelando che quelle di loro impiegate durante le ore notturne (almeno tre volte al mese) hanno una possibilità di ammalarsi di diabete due volte maggiore rispetto agli occupati di giorno. "Più a lungo dura il lavoro a rotazione, più aumenta il rischio". Lo ha spiegato il professor Frank Hu, coordinatore del team di medici che ha effettuato la ricerca. La percentuale infatti è del 5 per cento per i primi due anni, ma sale al 20 per cento nella fascia dai due ai nove anni, addirittura al 40% dai dieci ai diciannove. Per chi supera i vent'anni il rischio sfiora il 60 %.   Gli esperti di Harvard ritengono che la ragione sia da attribuire sia al fatto che lavorare di notte scombina il nostro orologio biologico, sia a ragioni comportamentali: per esempio, i dipendenti notturni tendono a fumare di più e mangiare porzioni di cibo maggiori e pietanze meno sane. Il coordinatore ha quindi consigliato un "controllo preventivo" del diabete per i soggetti che si riconoscono in questo ritratto. In ogni caso, ha specificato l'indagine, saranno necessarie altre ricerche per confermare i risultati ottenuti. In tutto il mondo attualmente circa 346 milioni di persone soffrono di diabete: la maggioranza soffre di diabete di tipo 2, ovvero la patologia causata da eccesso di peso corporeo e inattività fisica. Nel corso del tempo, la malattia può danneggiare organi vitali, tra cui reni, nervi e cuore.   Il professor Joel Zonszein, direttore del Montefiore Medical Center di New York, ha sottolineato anche gli altri fattori di rischio: "Lo studio dimostra l'associazione tra lavoro notturno, obesità e diabete - a suo giudizio -. Non è solo il turno di notte, ma anche il fatto che per questi dipendenti c'è più lavoro e più fumo. Sono tutte cose collegate".

Ottenere l'esonero dal lavoro notturno è automatico per i disabili e non troppo difficile per gli insulino dipendenti.
Per lavoro notturno s’intende qualunque organizzazione del lavoro che preveda almeno 80 turni annuali nei quali il dipendente opera per almeno 7 ore consecutive delle quali una o più ore sono comprese nell’intervallo fra mezzanotte e le cinque del mattino.
L’art. 2 del D. Lgs 532/1999 prevede l’esonero dal lavoro notturno per alcune categorie di lavoratori, fra cui  non sono comprese esplicitamente le persone con diabete.
Un diabetologo potrebbe però certificare, soprattutto nel caso di insulino trattamento, la necessità di non modificare i ritmi sonno-veglia per garantire l’equilibrio glicemico. Questa certificazione, consegnata direttamente all’azienda o attraverso il Medico competente (il medico ‘aziendale’ ai sensi della Legge 626/94) oppure avvalorata dal servizio Territoriale di Medicina del Lavoro, potrebbe essere sufficiente a chiedere l’esonero dal lavoro notturno.
Il lavoro notturno, recita la legge 903/1977 art. 5, 2° comma, non deve essere prestato dalla lavoratrice o dal lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 104/92. Pur in mancanza di una specifica indicazione, per analogia questo divieto può essere esteso al lavoratore diabetico disabile che benefici della legge 104/92.

Riepilogando l’ambiente di lavoro è importante per il diabetico in quanto occorre tener conto della sua necessità di un’alimentazione ad orari prestabiliti, della somministrazione di farmaci nelle ore indicate. Il lavoro non deve essere troppo traumatizzante sul piano psicologico, né provocare forti ansie, non obbligare alla partecipazione di turni di lavoro che settimanalmente siano spostati di otto ore e divengano anche notturni, perché rompono il ritmo sonno-veglia, l’orario delle terapie e quello dei pasti.  
La continua variazione degli orari di lavoro, infatti,  favorisce lo scompenso metabolico in quanto diventa difficile stabilire l’equilibrio insulinico in base alle diverse situazioni lavorative.
È preferibile un lavoro all’aperto perché il diabetico necessita come, ma ancor di più di tutti gli altri, di una discreta attività fisica. Il lavoro al chiuso in particolare quello secondario, in particolare quello amministrativo, è altamente sconsigliato: tuttavia in tali casi si può sopperire ad esempio recandosi in ufficio a piedi a passo svelto e comunque utilizzare il meno possibile automobile mezzi pubblici; preferire le scale anziché l’ascensore, insomma cercare di muoversi il più possibile in quei momenti della giornata che offrono dette opportunità.

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Doveri del lavoratore diabetico
È frequente che il diabetico tenga nascosta la propria malattia sia nel momento della selezione del personale che nel caso di sopravvenienza di tale malattia: il rischio è quello di esporsi al rischio di non ricevere aiuto in caso di crisi ipo/iperglicemiche  (un dirigente racconta che durante una riunione viene colpito da una crisi ipoglicemica mentre proprio stava tenendo il proprio discorso: la segretaria, che conosceva la patologia del proprio capo, essendosi accorta della crisi, porta un bicchiere di coca cola, permettendo al dirigente di continuare il proprio discorso, senza che i presenti si accorgessero di niente) come pure la possibilità di non conseguire spostamenti a  mansioni più pericolose per costui e per terzi.

E’ opportuno, quindi,  che il paziente diabetico, nel momento in cui assuma un lavoro:

  • fornisca al datore informazioni sulla sua condizione di diabetico nel momento in cui costui si appresti a lavorare;
  • non nasconda la condizione di diabetico se interrogati sul proprio stato di salute;
  • rassicuri il datore di essere seguito regolarmente da un Centro Diabetologico, rassicurando così il datore di lavoro sul fatto che il diabete non deve essere considerato uno svantaggio nell'occupazione;
  • assicuri i datori di lavoro che i giovani diabetici possono eseguire bene il loro mestiere;
  • informi i colleghi della propria stanza o linea di montaggio della propria condizione di diabetico in modo da poter essere soccorso in caso di necessità;

Il diabetico lavoratore deve tener presente che nessun mestiere, ad eccezione di pochi casi,  è a lui precluso nei limiti sopra detti e ciò per non creare problemi e danni a terzi.

Qualora la malattia dovesse sopravvenire dopo l’assunzione, è necessario oltre che opportuno ai fini di evitare eventuali responsabilità, darne informazioni alle Autorità competenti per i provvedimenti del caso, come ad es. il trasferimento in mansioni o settori amministrativi, comunque non operativi.

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Idoneità lavorativa
L’idoneità lavorativa viene definita determinando lo stato di compenso metabolico di ogni singolo operatore evitando la generica classificazione o suddivisione tra portatori di diabete insulino-dipendente e non insulino-dipendente
Tenendo presente che la giurisprudenza conferisce al medico competente il diritto/dovere di formulare il giudizio d’idoneità alla mansione specifica e che l’espressione di tale giudizio non prevede termini quali “si consiglia/non si consiglia”, bensì idoneo/non idoneo/idoneo con limitazioni”, è essenziale elaborare standard oggettivi, che abbiano adeguato riscontro normativo, per stabilire la compatibilità tra la malattia diabetica e la mansione specifica, per rendere quanto più omogenea ed obiettivabile la gestione di tale problematica.
È, quindi, compito del medico competente, da una parte fornire al soggetto diabetico, entrato a far parte di una realtà lavorativa, informazioni circa l’eventuale influenza delle attività lavorative e dell’ambiente di lavoro sul compenso metabolico e sul suo stato di salute e circa la possibilità che la sua condizione patologica possa arrecare danni a terzi, dall’altra sensibilizzare il datore di lavoro al fine di garantire un corretto inserimento lavorativo del lavoratore diabetico (ad esempio con servizi dedicati: mensa, locali per la terapia insulina, maggiore elasticità del lavoratore nell’orario in entrata).
E’ altresì compito del medico competente (d’intesa con il team diabetologico che segue il lavoratore) farsi carico di tutti quegli interventi  utili alla prevenzione e all’inserimento corretto  del lavoratore diabetico non solo al fine di ottenere tutte le conformazioni necessarie al giusto inquadramento del caso ma ancor più per un corretto profilo di idoneità lavorativa. Sotto questo profilo anche quei lavori “sconsigliati” (lavori ad altezza suolo, guida professionale, etc.) potrebbero non risultare più preclusi, come pure nel caso in cui sorgessero le classiche complicanze croniche della malattia come retinopatia, nefropatia, neuropatia, malattie cardiovascolari, il giudizio di idoneità, visto in funzione delle mansioni  e delle condizioni  psico-fisiche del lavoratore al fine di una corretta tutela della salute del lavoratore, potrebbero risultare non precluse al lavoratore: da sottolineare che questi principi valgono per tutti i lavoratori anche quelli non diabetici.  

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Valutazione effettuata dalla Seconda Università degli studi di Napoli e dall’INPS di Lecce
Da una valutazione del rapporto diabete e lavoro effettuata dalla Seconda Università degli studi di Napoli e dall’INPS di Lecce è emerso che [su 97 diabetici intervistati, di cui 21 femmine e 76 uomini con età media 49,6 ± 7,57 anni,  con una anzianità lavorativa media di 22 ± 1,5 anni (di questi 9 erano affetti da DM 1, 88 da DM 2. Il 56% era esente da complicanze connesse al diabete, il 6% era affetto da macroangiopatia, il 23% da microangiopatia ed il 15% da neuropatia il 15% aveva associate altre patologie] una parte dei lavoratori diabetici (30%) preferiva non rivelare la propria condizione patologica al medico competente e/o ai colleghi di lavoro. Questo atteggiamento si può spiegare con la diffidenza dei datori di lavoro nei riguardi dei diabetici, per il timore che essi non possano mantenere gli standard lavorativi degli altri dipendenti e che possano frequentemente assentarsi per malattia. Tale tendenza ci viene confermata dai medici competenti, i quali confermano che i diabetici non rivelano spontaneamente la loro malattia se non in seguito a domande specifiche o dopo riscontri laboratoristici di iperglicemia. Tutto questo comporta l’affrontare in maniera non adeguata il problema, con evidenti conseguenze sul controllo metabolico ed in ultima analisi sulla comparsa di complicanze e induce i diabetici ad avere una cattiva socializzazione con i colleghi. Vi era uno scarso controllo metabolico (46%), evidenziato sia da valori di glicemia a digiuno > 140 mg/dl sia da valori di HbA1c > 7,5 %, soprattutto per quei lavoratori costretti ad orari irregolari, come i liberi professionisti e i ristoratori, oppure per quei lavoratori che svolgono attività prevalentemente sedentarie, come gli impiegati o gli insegnanti (tabella II).

43 diabetici con complicanze, di questi:

  • 1 aveva cambiato attività lavorativa.
  • 3 erano stati adibiti ad una mansione diversa nell’ambito della stessa azienda;
  • 39 avevano continuato a svolgere la mansione per la quale erano stati assunti;

mentre dei 54 diabetici non complicati nessuno aveva cambiato attività lavorativa.

Le complicanze erano per lo più associate agli anni di malattia ed alla dose di insulina somministrata anche se si è notato una certa corrispondenza tra alti livelli di HbA1c, e quindi scarso controllo metabolico, e la presenza di complicanze microvascolari e di neuropatia (tuttavia questa associazione, rispetto a chi aveva bassi livelli di HbA1c, non è risultata significativa, probabilmente per l’esiguità del numero del campione da noi reclutato).

Settore lavorativo

Scarso controllo metabolico

Metalmeccanici

8

24%

Ristoratori

7

57%

Docenti

31

49%

Libero-professionisti

21

63%

Commercianti

9

22%

Impiegati

16

69%

Altri

5

40%

     

 Dai dati raccolti si evince l’importanza di un approccio multidisciplinare e di una conduzione in sinergia della problematica diabete e lavoro che consentirebbe una gestione integrata e coordinata del paziente/lavoratore diabetico. Infatti gli obiettivi di una adeguata assistenza al diabetico possono essere ottenuti, non soltanto con l’applicazione di indirizzi diagnostici e terapeutici fondati su solide basi scientifiche ma anche con un razionale coinvolgimento nel progetto globale di assistenza diabetologica, di tutte le componenti sanitarie a vario titolo interessate. È opportuno ricordare, a tal proposito, la necessità di una articolazione dell’assistenza diabetologica in più livelli, come da tempo previsto dall’illuminata ma purtroppo spesso disattesa o solo parzialmente applicata, legge 115/87 per la cura e la prevenzione del diabete. Per una efficace gestione del lavoratore diabetico non si può prescindere, infatti, da una stretta collaborazione fra il medico del lavoro, il medico di medicina generale ed il servizio di diabetologia di afferenza. È, infatti, al diabetologo curante che il medico del lavoro deve rivolgersi per ottenere tutte le informazioni necessarie per un corretto inquadramento del caso oggetto della valutazione e per una giusta definizione del profilo dell’idoneità lavorativa. Medico di medicina generale e servizio diabetologico concorrono alla definizione del programma terapeutico, alla verifica dell’adesione del paziente alla sua applicazione e alla valutazione della sua efficacia in termini di controllo metabolico. Dal parte sua il medico del lavoro ha il compito, in fase di avviamento al lavoro, di fornire al diabetico informazioni circa l’eventuale influenza delle attività lavorative e dell’ambiente di lavoro sul compenso metabolico e sul suo stato di salute , di svolgere attività di orientamento al lavoro e di effettuare un’efficace opera di educazione in collaborazione con il servizio di diabetologia. Infatti, l’avviamento del diabetico ad una qualsiasi attività lavorativa impone determinate cautele, da adottare caso per caso e che devono tenere conto della gravità della malattia, della concomitanza di complicanze, dell’ambiente in cui il lavoro viene svolto, dell'impegno fisico richiesto, dell'orario e del ritmo delle prestazioni e infine del dispendio energetico impiegato per recarsi da casa al lavoro e viceversa.
Dai questionari è emerso che i diabetici che svolgono un’attività lavorativa con orari irregolari e che non usufruiscono di servizio mensa presentano un più scarso compenso metabolico. Ciò, dunque, conferma l’importanza di effettuare una corretta informazione, affinché il lavoratore diabetico segua una dieta appropriata e con la massima regolarità possibile, ma anche, dove sia realizzabile, di operare affinché siano presenti servizi idonei a soddisfare le esigenze del diabetico; in particolare, assicurare che i servizi mensa abbiano menù specifici per tale patologia.
Si rileva, inoltre, che, come è noto, anche i lavori cosiddetti “sedentari” influenzano negativamente il controllo metabolico. Tra gli intervistati il 78% dei soggetti con diabete tipo 2 che svolgono un’attività lavorativa sedentaria come impiegati, professionisti, insegnanti, commercianti etc. sono in eccesso ponderale e ciò rende più difficile il compenso glicometabolico. Di qui la necessità di indurre il soggetto ad espletare un’attività fisica adatta alla sua condizione ed a perseguire con gradualità l’obiettivo della normalizzazione ponderale. Solo il mantenimento della glicemia a valori quanto più vicini alla norma e del peso nei limiti fisiologici mediante la dieta, e se necessario con l’aiuto della terapia, possono ridurre il pericolo delle complicanze, in presenza delle quali può essere compromessa la continuità dell’attività lavorativa.
Lo scarso controllo metabolico, riscontrato nel 46% dei soggetti intervistati, ed evidenziato sia da valori di glicemia a digiuno > 140 mg/dl sia da valori di HbA1c > 7,5 %, induce a consigliare per i soggetti con diabete tipo 1 una visita specialistica, all’incirca ogni tre mesi, in concomitanza con il controllo della percentuale di HbA1c; mentre per i pazienti con diabete tipo 2 non complicati si può ritenere sufficiente un controllo annuale. La presenza di complicanze impone una periodicità più ravvicinata di controlli. Naturalmente l’atteggiamento del medico del lavoro deve evitare una generica classificazione o suddivisione tra portatori di diabete mellito ID e NID, ma valutare di volta in volta le condizioni di salute di ogni singolo lavoratore.
Gli obiettivi del trattamento (controllo glicemico) sono una glicemia a digiuno di 80-120 mg/dl; una glicemia al momento di coricarsi di 100-140 mg/dl ed una HbA1c <7%. Infatti un buon controllo glicemico permette di realizzare una riduzione del rischio di malattia microvascolare ed una riduzione della progressione della retinopatia del 25% e 21 % rispettivamente (UKPDS).
Un buon controllo glicemico è associato direttamente al miglioramento di numerose misure della qualità di vita. Sono stati dimostrati benefici a breve termine nell’umore, nell’atteggiamento, nel senso di benessere e nell’attenzione.
La difficoltà di aderire alla dieta, la complessità di alcuni regimi di trattamento, lo stile di vita in ambito sociale e lavorativo la paura delle iniezioni di insulina e dell’ipoglicemia e l’aumento di peso sono tutti fattori che possono influenzare negativamente la capacità di aderire al trattamento.
Le ragioni solitamente citate per la mancata assunzione includono la dimenticanza, la frequenza delle somministrazioni e gli impegni relativi alle comuni attività quotidiane. Può essere, poi, particolarmente difficile nell’ambiente di lavoro ottenere un buon controllo metabolico proprio per tutte le problematiche connesse all’attività lavorativa (orari di servizio, turni, mense non adeguate, mansione specifica, etc..). Inoltre, l’aderenza del paziente alla dieta ed all’esercizio fisico è spesso subottimale.
Per raggiungere gli obiettivi raccomandati, è richiesto un approccio combinato che includa interventi intensivi sulla nutrizione, sull’esercizio, sul comportamento, di laboratorio e farmacologici (antidiabetici, antipertensivi, ipolipemizzanti). Sono necessari un aiuto attento e consistente, la dettagliata educazione del diabetico ed un’eccellente comunicazione nella vita quotidiana ed in quella lavorativa.
È, quindi, solo con un approccio multidisciplinare alla problematica diabete e lavoro che consenta una corretta organizzazione del modello assistenziale, insieme ad un oculato impiego delle risorse disponibili, che si può ottenere il massimo beneficio per il soggetto diabetico e ridurre il pericolo delle complicanze croniche, in presenza delle quali può essere compromessa la continuità dell’attività lavorativa.

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Fonti
http://www.noidiabetici.it/index.php?option=com_content&view=article&id=99&Itemid=110
http://www.diabeteitalia.it/i-tuoi-diritti/diritti-sul-lavoro/default.aspx
http://www.rassegna.it/articoli/2011/12/12/80976/lavoro-notturno-a-forte-rischio-diabete
http://www.diabetologia.it/diabetelavoro/valutazione_del_rapporto_diabete.htm
Le problematiche connesse all’attività lavorativa del soggetto diabetico. Slide curate da Maurizio Coggiola
http://w3.uniroma1.it/medicinadellavoro/Struttura/Articoli/Nuova%20cartella/il_lavoratore_diabetico.pdf
http://www.agd.it/leggilazio/lineeguida/varie_eta.htm
http://www.diabete.net/la-legge-sul-lavoro/il-diabete-in-italia/le-leggi-nazionali/392/
http://www.diabete.it/dossier/view.asp?IDCat=705&ID=734